Quando si pensa alle minacce estorsive nel mondo nel mondo IT, la mente va subito alle minacce da ransomware.
Siamo d’accordo, il termine ransom in inglese significa esattamente riscatto, ed è la clausola imposta dai malware di tipo ransomware per ottenere (difficilmente) lo “sblocco” dei dati presi in ostaggio crittograficamente dallo strumento di attacco. Anche i numeri fanno pendere l’ago della bilancia verso questa identificazione, in quanto questa è la forma più frequente di attacco a cui siamo esposti noi comuni mortali.
Ma di cyber riscatti ne esistono varie forme e non tutti gli agenti di minaccia si specializzano nell’utilizzo di ransomware quali strumenti per realizzare un guadagno dalla loro attività criminale.
Negli ultimi anni il termine è divenuto sempre più protagonista della cronaca, sociale e politica.
Il problema dell’informazione è un problema antico: malafede, fini secondari, “veline”, connivenze, interessi. Tutto ha sempre minato la credibilità dell’informazione, quella “certa informazione” che non si sa mai quale sia, e che è sempre differente da “quell’altra”, quella che dovrebbe essere buona, garantita, certa. Ma come orientarsi?
Fake news è dunque un termine anglosassone per qualcosa che conosciamo da sempre, diffidiamo da sempre (con quell’istinto al complotto, alla dietrologia che un po’ stuzzica tutti) e con cui conviviamo da sempre. Se vogliamo però, fake news identifica una particolare forma di informazione drogata, quella costruita “scientificamente” con l’intento di ingannare, con l’intento di raggiungere un fine all’insaputa dei fruitori (e non semplice approvazione come nei giornali di partito che parlano “ad una parte”, accomodanti e sollecitanti).