Il ransomware è tutt’ora una delle minacce più diffuse nel panorama della sicurezza informatica. Può causare seri danni agli individui che improvvisamente si trovano impossibilitati ad utilizzare i loro PC e con scarse probabilità di recuperare i loro file, a meno che non venga pagato il riscatto per ottenere una chiave di decrittazione (richiesto in criptovaluta, di solito IN Bitcoin). Ed è anche peggio per le aziende!
Una volta che una variante di ransomware si è infiltrata in una rete aziendale e ha eseguito la criptografia dei file, le vittime si ritrovano costrette a sospendere i servizi di base. Se i backup non sono disponibili, i criminali informatici possono richiedere anche migliaia e migliaia di dollari, pena la mancata decriptazione dei file o la condivisione di dati aziendali sensibili.
Quando si analizza un ransomware ci si focalizza soprattutto sul malware utilizzato, sull’infrastruttura impiegata per lanciare questo tipo di attacchi, sulle tecnicalità. Ma chi c’è dietro questi attacchi? Perché non ci si focalizza mai sul lato umano del ransomware?
Google sta valutando lo sviluppo di un'alternativa all’imminente App Tracking Transparency di Apple. La nuova funzionalità Apple sarà aggiunta in un prossimo aggiornamento software per iPhone e iPad, chiamato iOS 14.5 e iPadOS 14.5.
Lo strumento consente ai consumatori di scegliere se le applicazioni possono raccogliere dati su di loro attraverso altre applicazioni e siti web. Il gigante dei motori di ricerca sta discutendo internamente su come si possa limitare la raccolta dei dati e i monitoraggi delle app sul sistema operativo Android; ultimo segno che l'industria di Internet sta lentamente abbracciando la privacy degli utenti.
La notizia, riportata per la prima volta ieri da Bloomberg, sottolinea le crescenti pressioni che le grandi aziende tecnologiche subiscono nell’adottare misure più proattive per proteggere la privacy nel miglior modo possibile.